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DALL’UVA AL MOSTO

La luce e il calore del sole fanno maturare le uve fino al momento in cui i grappoli devono essere raccolti, portati in cantina e trasformati prima in mosto e poi in vino.

La decisione di vendemmiare è presa dopo diversi controlli, osservando i grappoli e assaggiando le uve. In maniera generica il periodo di vendemmia si identifica con il periodo in cui le uve hanno raggiunto il grado di maturazione desiderato.

I grappoli, dopo la raccolta e l’arrivo in cantina, devono essere trasformati in mosto.  Le moderne tecnologie utilizzano sistemi di pigiatura delle uve da sottoporre alla vinificazione in rosso, mentre la pressaturadiretta delle uve è applicata per quella in bianco.

Il succo che si ottiene dalla pigiatura o pressatura delle uve è il mosto. La quantità di zucchero presente nel mosto può variare moltissimo, perché dipende direttamente dalla quantità presente negli acini dell’uva. Più il mosto è ricco di zucchero, più il vino lo sarà di alcol etilico. Se si vuole produrre un vino dolce invece, l’azione dei lieviti verrà bloccata per limitare la produzione di alcol etilico e mantenere un elevato residuo zuccherino.

Prima di passare alle fasi di vinificazione, il mosto è sottoposto a diversi trattamenti, che permettono di esaltare alcune sue caratteristiche, rendendolo più limpido, stabile e di migliore qualità. In alcuni casi si deve ricorrere a vere e proprie correzioni, per compensare eventuali carenze di acidi o zuccheri, dovuti ad esempio agli andamenti climatici delle diverse annate.

LA VINIFICAZIONE IN ROSSO
Fattori decisivi per l’ottenimento di vini dai profili sensoriali diversi tra loro sono la varietà dei vitigni, dei terreni e dei microclimi, ma anche la possibilità di applicare differenti sistemi di vinificazione e di realizzare periodi di maturazione variabili nel tempo, oltre alla scelta del tipo di contenitore e del materiale costitutivo.

Da una stessa uva si possono ottenere diverse tipologie di vino. Se si applica la vinificazione in rosso si otterrà un rosso, con macerazioni più brevi si otterrà un rosato, mentre se si separano le bucce dopo la pigiatura si otterrà un bianco.  Inoltre, si possono ottenere anche ottimi vini-base per la produzione di spumanti.  La fase che distingue la vinificazione in rosso da quella in bianco è la macerazione, ovvero il contatto delle bucce con il mosto che a poco a poco si trasforma in vino.

Dopo vari trattamenti, il mosto è posto nei fermentatori e, dopo l’addizione dei lieviti selezionati, inizia a fermentare a contatto con le vinacce (bucce e vinaccioli). Nei primi giorni di contatto sono estratti soprattutto gli antociani, che danno immediatamente colori molto intensi. Nei giorni successivi, molte parti dei pigmenti vengono riassorbiti dalle bucce e il colore si indebolisce a vantaggio di una maggiore struttura del vino. Durante la fase di fermentazione, i lieviti trasformano gli zuccheri in alcol etilico e anidride carbonica, il colore diventa più intenso, molte componenti sono estratte e passano dalle bucce alla parte liquida. La temperatura ottimale alla quale i lieviti svolgono la fermentazione oscilla tra i 15-30 °C.

Poiché l’anidride carbonica fa ribollire il mosto, la fermentazione è detta tumultuosa. Al termine di quest’ultima, si procede con la svinatura, che consiste nell’eliminazione di bucce e fecce di fermentazione, cellule morte di lievito, sostanze coagulate, sali e piccole particelle solide.  Le vinacce, ancora imbevute di mosto-vino, sono asciugate con la torchiatura. Quelle più o meno esaurite sono mandate in distilleria per la produzione della grappa. Il vino, a questo punto, ancora non è pronto per l’imbottigliamento infatti deve subire trattamenti di stabilizzazione e una breve maturazione che ne perfezionano l’equilibrio, grazie anche all’eventuale fermentazione malolattica.

La fermentazione di alcuni rossi può concludersi in barrique, dove il vino che si sta formando è arricchito dalle componenti aromatiche del legno.

I VINI ROSATI
I sistemi per produrre i vini rosati sono diversi, anche se il più usato è quello che prevede una breve macerazione delle vinacce a contatto con il mosto. Un’alternativa è quella di utilizzare uve a bacca nera poco pigmentate e povere di tannini, un’altra ancora è quella di mescolare in uvaggio uve a bacca nera e bianca. Quello che non si può fare è miscelare vino rosso e vino bianco. A dispetto del colore e indipendentemente dal sistema impiegato, i vini rosati hanno caratteristiche organolettiche più simili a quelle dei vini bianchi che a quelle dei vini rossi. In genere sono destinati ad essere apprezzati in gioventù, grazie alle loro belle tonalità di colore, ai profumi delicati e fragranti e alla freschezza dei sapori.

LA VINIFICAZIONE IN BIANCO
Nella vinificazione in bianco durante la fase di fermentazione non c’è alcun contatto tra mosto e vinacce. Questo perché i pigmenti sono localizzati nelle bucce, quindi è sufficiente eliminarle dal mosto per ottenere un vino bianco. Dopo la raccolta e il trasporto, si procede all’eliminazione delle vinacce, che avviene tramite una soffice pressatura delle uve.

Dalla compressione delicata degli acini c’è la fuoriuscita di un mosto molto fine, mentre raspi, bucce e vinaccioli restano dentro la pressa e sono eliminati. Segue la fase di fermentazione ad una temperatura di 18-20 °C e poi il travaso.

CURIOSITA’: LA MACERAZIONE CARBONICA E IL VINO NOVELLO
Negli ultimi anni il novello ha saputo ritagliarsi uno spazio nel mondo del vino grazie alla sua semplicità e piacevolezza. Il segreto sta tutto nella macerazione carbonica, applicata prima della vinificazione vera e propria. I grappoli interi (non pigiati) sono posti in vasche sature di anidride carbonica, dove sono lasciati per periodi compresi tra i 5 e i 10 giorni a circa 30°C, per favorire la produzione di sostanze profumate e di glicerina, la migrazione di pigmenti e altri componenti dalla buccia alla polpa e la demolizione di parte dell’acido malico. Queste condizioni, favoriscono una parziale fermentazione intracellulare, senza l’intervento dei lieviti, che saranno aggiunti solo successivamente. La fermentazione alcolica sarà poi rapida (2-4 giorni) e i vini avranno colori intensi e molto vivaci, profumi floreali, fruttati e vinosi, con tannini delicati e inadatti all’invecchiamento. Per questi motivi i novelli sono gli unici vini ad essere messi in commercio così presto, a partire dal 6 novembre dello stesso anno della vendemmia, che deve essere riportato in etichetta.

 

LA FERMENTAZIONE ALCOLICA
La fermentazione alcolica è svolta dai lieviti del genere Saccharomyces, che trasformano gli zuccheri, in particolare il glucosio, in alcol etilico, anidride carbonica ed energia termica.

L’alcol etilico che si forma e che è realmente presente nel vino è detto alcol svolto, ed è obbligatoriamente riportato in etichetta, espresso come percentuale volumetrica (% vol).

I vini dolci contengono degli zuccheri residui, se questi fossero fermentati, sarebbero trasformati in alcol etilico, definito alcol potenziale, a volte indicato in etichetta, sempre espresso come percentuale volumetrica. La somma dell’alcol svolto e di quello potenziale è definita alcol complessivo.

 

LA FERMENTAZIONE MALOLATTICA
Nella primavera che segue la vinificazione, alcuni batteri lattici, Pediococcus, Lactobacillus e Leuconostoc, possono realizzare la fermentazione malolattica, che avviene anche spontaneamente in seguito al normale rialzo termico (18-20°C), in presenza di un pH del vino non molto basso (3.2-3.4) e di una limitata concentrazione di anidride solforosa, oltre che di una percentuale di alcol etilico inferiore al 15%.

Sempre più spesso si utilizzano però colture selezionate di questi batteri, in grado di trasformare 1 molecola di acido malico in 1 molecola di acido lattico e 1 di anidride carbonica, con una conseguente diminuzione dell’acidità del vino che, a questo punto, risulta più morbido ed equilibrato. Ciò è dato dal fatto che l’acido malico è l’acido organico più aspro presente nelle uve, il lattico è il più delicato e dolce.

Questa fermentazione è più gradita nei vini rossi, ma attualmente è  indotta anche in alcuni bianchi importanti molto morbidi.

 

MATURAZIONE E INVECCHIAMENTO
Prima dell’imbottigliamento, i vini sono sottoposti ad un periodo di maturazione che può avvenire in recipienti di acciaio o vetroresina o in botti di legno. In altri casi, il vino può passare un periodo in acciaio per poi concludere il suo riposo in legno.  Queste diverse combinazioni permettono di ottenere vini nei quali si possono trovare pressoché intatte le fragranze e l’aromaticità del vitigno, oppure, al contrario, la complessità di un bouquet che si è creato grazie al riposo in legno.

La microporosità del legno permette dei lentissimi scambi di ossigeno, che causano variazioni del colore, del profumo e del gusto del vino, con tonalità cromatiche più calde e sfumature aromatiche di burro, vaniglia, frutta secca, tè e tabacco. Dunque, durante il riposo in botte, il gusto del vino diventa più morbido ed equilibrato, perché gli acidi in parte si trasformano e si combinano, i tannini giovani provenienti dalle bucce modificano la propria struttura, polimerizzano e in parte precipitano.

Il legno, non si limita a favorire i processi ossidativi. Nelle piccole botti tutti i fenomeni evolutivi sono molto più rapidi, grazie al maggiore rapporto tra la superficie del legno e il volume del vino. Ogni legno dà il suo tocco originale, anche se il dominatore incontrastato è il rovere, mentre un tempo era il castagno e il ciliegio.

Fino a pochi decenni fa, in Italia si usavano botti di grandi capacità, soprattutto per l’invecchiamento dei grandi vini rossi, ultimamente invece, sono molto utilizzate le barrique.

Quando si parla di barrique si intendono in genere delle botti molto piccole, solitamente dalla capacità di 225 litri.

L’IMBOTTIGLIAMENTO
L’ultima fase della produzione del vino è l’imbottigliamento, che deve garantirne la massima stabilità.  L’unico recipiente per vini di qualità è la bottiglia di vetro, materiale che non influenza le caratteristiche del vino, anche se nel mondo migliaia di ettolitri di vino sono confezionati in bag-in-box o in contenitori di plastica, ma solo per vini correnti e di pronta beva.

Anche il tappo è importante. In sughero, silicone, plastica, vetro a vite e a corona, i tappi sono davvero di molti tipi. I tappi più usati per vini di pregio e da evoluzione sono sempre di sughero, materiale che favorisce il perfetto affinamento del vino.

La bottiglia, recipiente di vetro di diversi colori, forme e spessori, è il contenitore dentro il quale il vino a volte riposa per anni. Per i vini da lungo affinamento, le si affida una grande responsabilità, perché deve favorire la perfetta evoluzione dei colori, profumi e sapori. Per evitare gli effetti negativi della luce, in grado di rendere più rapidi i fenomeni di ossidazione e di imbrunimento a carico di molte componenti del vino, la bottiglia deve essere di vetro scuro. La maggior parte di quelle in commercio è fatta con vetri speciali che non permettono il passaggio dei raggi ultravioletti. Se il vino non è destinato a riposare a lungo nella bottiglia e/o se il produttore desidera che il cliente ne possa ammirare le sfumature la bottiglia può anche essere di vetro trasparente e incolore.

Oltre al colore, ciò che distingue le bottiglie è la forma e la dimensione che cambiano a  seconda della tipologia di vino, della zona di produzione e della tradizione. A conferma di come il vino, da sempre, intreccia la sua storia con il territorio nel quale è prodotto. Così nei secoli sono state codificate le varie forme delle bottiglie, il cui nome riconduce alla zona di produzione, ormai in uso ovunque.

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La bordolese (1): è la bottiglia più diffusa, impiegata per diverse tipologie di vino, soprattutto per i grandi rossi di Bordeaux, zona di cui è originaria. La sua forma ha spalla pronunciata più o meno alta (bordolese classica), il colore è verde o marrone scuro per i vini rossi da lungo affinamento, incolore per i vini bianchi.

La bordolese a spalla alta (2): né è la più elegante rivisitazione, oggi molto usata in particolare per i vini rossi, mentre la bordolese piccola (3), molto diffusa per i vini dolci, è di vetro scuro e con capacità di 0,375 l o 0,500 l.

La champagnotta (4): impiegata per Champagne e per tutti gli spumanti ottenuti con la rifermentazione in bottiglia. In genere è di vetro verde scuro o quasi nero, più spesso del normale e con il fondo molto incavato per resistere alle forti pressioni interne. Rispetto a questa, la champagne cuvèe (5) ha una forma un po’ più allargata alla base e il collo è leggermente più lungo.

La renana o alsaziana (6): originaria della valle del Reno, ha una tipica forma allungata e slanciata, è senza spalla, di vetro scuro ed è impiegata soprattutto per i vini bianchi.

La marsalese (7): come dice il nome è la bottiglia del Marsala, molto simile a quella di altri vini liquorosi, in genere di vetro marrone scuro o nero.

L’albeisa (8): impiegata per gli austeri vini rossi piemontesi da lungo affinamento, è originaria della zona delle Langhe ed è di vetro scuro. Realizzata una ventina di anni fa da un Consorzio istituito da alcuni produttori delle Langhe, può essere utilizzata solo dalle aziende che vi aderiscono, rispettando specifiche regole di impiego.

La borgognona o borgognotta (9): è usata per diverse tipologie di vino, soprattutto grandi vini di Borgogna; è priva di spalla, di colore verde scuro o di diverse tonalità.

La bocksbeutel o pulcinella (10): ha una forma particolare e panciuta, in vetro verde scuro. Il suo impiego è limitato soprattutto ai vini rossi della Franconia, di cui è originaria, o per alcuni vini portoghesi.

Porto (11): è il nome della bottiglia impiegata per i vini Porto e altri liquorosi prodotti nella penisola iberica, come Madeira e Sherry; è spesso di vetro verde di diverse tonalità, a volte anche marrone scuro.

L’anfora (12): è impiegata in Francia per i vini della Provenza, e in Italia soprattutto da un’azienda produttrice di Verdicchio, per la quale è stata ideata da un architetto milanese, Antonio Maiocchi, nel 1953, con habillage del pittore Bruno de Osimo. Per anni l’immagine del Verdicchio è rimasta legata alla forma di questa bottiglia, dalla linea sinuosa e particolare.

 

I VINI PASSITI

In zone dove le condizioni climatiche lo consentono, alcune uve si prestano molto bene alla sovra maturazione. I grappoli diventano ancora più dolci, perché il glucosio e il fruttosio aumentano e si concentrano.

La sovra maturazione può avvenire prima o dopo la vendemmia: nel primo caso, quando i grappoli sono maturi, non vengono raccolti ma lasciati sulla pianta; nel secondo caso, invece, dopo la raccolta i grappoli vengono distesi al sole, affinché evapori la maggior parte dell’acqua e si concentri tutto ciò che renderà il vino ancora più profumato e dolce.

Altre volte ancora la raccolta avviene a gennaio, quando il freddo ha ghiacciato gli acini.

Il succo ottenuto dalle pigiature di queste uve è molto denso, e il vino che si otterrà sarà più dolce o più ricco di alcol etilico a seconda che si decida di interrompere la fermentazione o di portarla a compimento.

L’APPASSIMENTO

Tutto ciò che accade nelle uve sottoposte a vendemmia tardiva è ancora più accentuato in quelle sottoposte ad appassimento, perché l’evaporazione dell’acqua è maggiore, e quindi aumenta la concentrazione delle sostanze presenti nella polpa e nella buccia degli acini. La maggior parte dei vini passiti è ottenuta con il cosiddetto appassimento forzato, nel quale si può applicare un sistema di ventilazione artificiale con aria riscaldata intorno ai 30°C. In questo modo il tempo di appassimento si riduce di parecchio (da 80 giorni si passa a una decina), modulando anche la concentrazione delle sostanze contenute nelle uve.

In altri casi, come avviene per la produzione del Greco di Bianco in Calabria, del Moscato di Pantelleria in Sicilia e di pochissimi altri vini , i grappoli vengono fatti appassire al sole. In questi casi la concentrazione zuccherina nelle uve può arrivare al 30-40%.

La pigiatura e la fermentazione in genere avvengono tra dicembre e febbraio, ma in alcuni casi si attende la settimana santa, per ottenere i celebri Vin Santi in Toscana e il Vino Santo da nosiola in Trentino.

Dolci e spesso ricchi di alcol etilico, i vini passiti si caratterizzano per i profumi di uva passa e fico secco, frutta esotica e sciroppata, albicocca essiccata e frutta secca, miele e confetture, vaniglia e fiori appassiti, oltre che per la vellutata morbidezza.

LA BOTRYTIS CINEREA   

A questi vini passiti, a volte, la Botrytis Cinerea, in uno stadio del suo sviluppo e in adeguate condizioni climatiche, può conferire aromi e sapori più intensi .

Questa muffa non ama i climi caldi e predilige una buona umidità, fattori che spesso costringono ad una vendemmia dilazionata nel tempo, per raccogliere solo i grappoli nei quali abbia raggiunto il migliore sviluppo. Grappoli che sono tutt’altro che belli, perché raggrinziti dal parziale ammuffimento, con un colore che va dal viola al grigio e al marrone, caratteristiche che tutto lasciano prevedere fuorché vini intensi, dolci ed eleganti.

Sviluppandosi sulla buccia degli acini, la muffa forma un feltro colorato, che provoca l’appassimento per evaporazione.

Ma il suo intervento è ancora più diretto, perché produce glicerina e sostanze aromatiche, trasforma diverse componenti e consuma alcuni acidi e soprattutto dà inconfondibili sfumature odorose.

In Italia non esistono zone specifiche alle quali si può ricondurre in modo particolare la produzione di vini muffati, anche se le esigenze della Botrytis Cinerea sono soddisfatte in alcune regioni del centro-nord. Famosi muffati si ottengono in Francia, sotto Bordeaux, in Germania, in Austria e in Ungheria.

 

I VINI DI GHIACCIO (icewine – eiswein)

Condizioni climatiche opposte a estati calde e autunni assolati, possono creare vini altrettanto intensi e profondi. Lasciati tutto l’autunno e tutto l’inverno sulle viti, i grappoli sono raccolti solo in gennaio, avvolti da un velo ghiacciato, quando l’acqua all’interno dell’acino è ghiacciata.

Durante la raccolta e la pigiatura la temperatura è bassissima, sotto i -7°C, per ottenere un mosto molto povero di acqua ma denso di zuccheri, acidi, sali e altre sostanze estrattive.

Vitigni ricchi di aromaticità come riesling e gewurztraminer danno i risultati migliori in paesi come il Canada, l’Austria e la Germania, dove questi vini sono rispettivamente chiamati Icewine e Eiswein. In Italia i vini di ghiaccio sono più unici che rari, ottenuti anche da uve diverse, come per esempio il moscato bianco.

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